Apprendimento Esperienziale

Il metodo (parte uno)

Le fasi del percorso esperienziale

La gestione di un percorso di educazione esperienziale prevede una scansione articolata per fasi.

 

1. Analisi dei bisogni

 

L’Analisi dei bisogni formativi consiste nella valutazione di: aspettative dei partecipanti; esigenze educative in base al contesto formativo (scuola, azienda, casa famiglia, carcere); bisogni espressi dal committente. Si tratta innanzi tutto di conoscere il gruppo, per valutarne le esigenze, gli interessi, le risorse in modo da poter avviare un percorso il più possibile adeguato ad esso. Si può trattare di una conoscenza diretta, tramite osservazione (libera o strutturata) e/o somministrazione di test, e/o interazione, tramite interviste, focus group, o un incontro semistrutturato; in questo caso potremo dirigere il primo incontro verso l’indagine delle aspettative, le ritrosie, gli imbarazzi e le curiosità. Può trattarsi, altrimenti, di una conoscenza indiretta, allora saranno insegnanti, educatori, talvolta i familiari, in generale altri significativi coinvolti in una relazione educativa con i partecipanti o con il gruppo a fornirci le informazioni utili per la realizzazione dell’intervento. Nel caso della formazione aziendale l’analisi dei bisogni dovrà tenere particolare conto delle richieste del committente, che talvolta richiederà il nostro intervento con obiettivi deteriminati alla riduzione di gap formativi del personale in relazione ai ruoli e agli obiettivi formativi del personale. L’analisi dei bisogni formativi è la prima fase, propedeutica a a quella progettuale, ma si può anche intendere come un richiamo all’attenzione che sarà rilevante durante tutto il percorso. Tenere viva l’attenzione ai bisogni formativi come qualcosa che non è dato, ma muta insieme al gruppo di esperienza in esperienza, ci aiuterà a rimanere aperti e adattare il progetto in itinere, se necessario.

2. Progettazione

 

 

La progettazione si compone di due fasi: macroprogettazione (obiettivi generali, tematiche, metodologie, per esempio scelta delle metafore); e microprogettazione (programma formativo: obiettivi parziali, unità didattiche, strumenti). Occorre particolare cura in fase di progettazione, in quanto essa rappresenta le fondamenta del percorso che determineremo. Nel caso di un progetto che prevede più incontri, è auspicabile la preparazione di un disegno complessivo, con obiettivi generali e una cornice tematica a maglie larghe, cui verrà adeguata la progettazione dei singoli incontri; in base ai risultati ottenuti di volta in volta, sarà possibile adeguare il disegno generale per nuove finalità e nuove sfide che emergono durante lo svolgimento. Per ciascun incontro è poi prevista una progettazione specifica delle attività, scelte in linea con gli obiettivi pedagogici e disposte in una sequenza determinata. Durante la fase di progettazione occorre selezionare e preparare con cura i materiali. Un aspetto determinante è conoscere lo spazio in cui svolgeremo le attività, eventuali rischi e ogni elemento che possa facilitare o ostacolare la buona riuscita della sessione esperienziale. In fase di progettazione è opportuno tenere presente che ogni aspetto relativo alla sicurezza è responsabilità del conduttore.

 

Obiettivi

Risultati attesi

Processo di svolgimento

Fasi delle attività, tempi, luoghi, attrezzature

Preparazione

Sicurezza, materiali, attrezzature, gruppi, partecipanti

Avvio

Consegna generale, consegne specifiche per I sottogruppi, messaggi chiave

Esecuzione

Sicurezza, punti di attenzione

Osservazione

Cosa osservare, chi, come.

Chiusura

Come termina l’esecuzione, cosa fare, cosa recuperare, posti da raggiungere

Rielaborazione

Come aprirla, come condurla, domande tipo, possibilità di riflessione

4. Conduzione

 

Start-up: Durante il primo incontro occorre prevedere una presentazione ai partecipanti della metodologia esperienziale e degli obiettivi formativi. Si tratta dell’inizio di un percorso insieme, sia esso di poche ore o diversi giorni, e determina una sorta di imprinting tra conduttore e gruppo. Ogni incontro è introdotto da una presentazione delle informazioni logistiche, delle regole di comportamento e di sicurezza e di quanto risulti di volta in volta adeguato.

 

Warm-up: Warm-up letteralmente significa ‘riscaldamento’ ed è la fase in cui vengono proposte le attività o i giochi volti alla costruzione del senso di gruppo e all’instaurazione di un buon clima. Si tratta di giochi e attività volte alla conoscenza e alla socializzazione tra i partecipanti. Ha l’obiettivo di rompere il ghiaccio e vuole permettere di sentirsi più liberi nello svolgimento delle attività successive; generalmente non necessita di un debriefing.

 

Briefing: questo è lo spazio in cui vengono presentate le regole dell’attivita che si intende venga svolta ed eventualmente le modalità di utilizzo dell’attrezzatura. Il senso dell’attivita viene spiegato in relazione agli obiettivi formativi. Ad ogni attività corrisponde un momento di briefing.

 

Playing: si definisce playing lo svolgimento dell’attivita. Il conduttore assiste lo svolgimento dell’attivita osservando le dinamiche interpersonali, le forme di comunicazione, gli atteggiamenti, I ruoli. Altresì si tratterà di garantire la sicurezza dei partcipanti, intervenendo e, se necessario, interrompendo l’attivita in caso di pericolo. Questo stadio corrisponde alla fase dell’esperienza concreta del ciclo di Kolb 

5. Debriefing

 

Il debriefing è il processo attraverso cui il conduttore stimola, con domande, gli interventi e le riflessioni dei partecipanti nell’analisi della metafora utilizzata nel gioco, al fine di trasporla nella quotidianità, proiettarla nel futuro, collegando le abilità e le strategie emerse a situazioni di apprendimento nella crescita lavorativa, relazionale, familiare. Il debriefing prevede tre fasi: introduzione dei partecipanti al processo autoriflessivo; focalizzazione di quanto emerso verso vissuti e significati personali; generalizzazione, dai contenuti personali all’esperienza collettiva, dal proprio punto di vista all’apertura di prospettiva. La fase del debriefing corrisponde allo stadio dell’osservazione riflessiva del ciclo di Kolb.

 

Questo spazio viene creato al termine di ogni attività, dedicato alla condivisione e all’ascolto all’interno del gruppo, in modo da favorire la riflessione e il confronto tra i partecipanti sull’esperienza, cercando di coinvolgere il vissuto cognitivo, emotivo, sensoriale. Qui sono accolte le percezioni e le valutazioni dei partecipanti. Si tratta da un lato di uno spazio libero e protetto per l’espressione individuale, dall’altro di uno spazio per la costruzione di un sapere condiviso. Ogni gruppo produrrà una conoscenza autentica, che si forma in un certo momento in seguito ad una specifica attività, per la presenza di determinate persone con le loro abilità, conoscenze, curiosità, emozioni.

 

Carry over: La fase conclusiva del debriefing intende individuare quali elementi possono essere trasferiti dal gioco agli altri ambiti della vita quotidiana. 

6.     Follow up

 

Il follow up è una verifica, dopo un tempo definito, degli obiettivi prefissati. Questa diviene essenziale nel caso di percorsi formativi strutturati che prevedono il raggiungimento di fini specifici sul lungo periodo. Il trasferimento dell’apprendimento alla realtà quotidiana avviene attraverso l’integrazione abilità acquisite durante il percorso esperienziale con i precedenti apprendimenti consolidati. La presenza del follow up permette di rafforzare il legame tra esperienza metaforica e realtà quotidiana.

To be continued... parte due


- Uno sguardo sulle origini della visione occidentale -

Teoria parte uno

Cortellazzo, M. Zolli, P. Dizionario etimologico della lingua italiana. Zanichelli, 1979.
Cortellazzo, M. Zolli, P. Dizionario etimologico della lingua italiana. Zanichelli, 1979.
Cortellazzo, M. Zolli, P. Dizionario etimologico della lingua italiana. Zanichelli, 1979.
Cortellazzo, M. Zolli, P. Dizionario etimologico della lingua italiana. Zanichelli, 1979.

Il pedagogista tedesco Kurt Hahn (1886/1974) è ritenuto precursore della Pedagogia esperienziale. Era convinto che l’apprendimento può essere significativo solo attraverso quei comportamenti che Johann Heinrich Pestalozzi aveva caratterizzato come capaci di coinvolgere «testa, cuore, mano». L’apprendimento si compie, secondo la filosofia di Hahn, attraverso le due connotazioni dell’esperienza, rese in tedesco con i termini Erleben e Erfahrung [1]. Il primo indica l’esperienza che si vive nel momento in cui si vive, qualcosa di simile al nostro ‘vissuto’, ma più legato al momento presente del fare e dell’esserci; il secondo esprime l’esperienza vissuta che, integrata al bagaglio della persona, diventa operativa, determina gli atteggiamenti e i comportamenti dell’individuo, ne fa parte. Con la locuzione “apprendimento esperienziale” ci si riferisce all’apprendimento in quanto determinato da un’esperienza insieme cognitiva, emotiva, corporea. In particolare l’apprendimento esperienziale è inteso come scambio tra l’individuo e l’oggetto dell’esperienza, che risulta significativo se l’individuo attribuisce significato all’esperienza stessa. Per questo nell’educazione esperienziale all’attivita e al gioco segue il momento della riflessione condivisa, mirata a far emergere una conoscenza autentica e specifica, determinata dagli individui e dal gruppo particolari. Lo strumento è quello della metafora: l’esperienza del gioco potrà essere applicata in maniera analogica ad altre sfere della vita quotidiana. L’apprendimento esperienziale appartiene ad ogni età e condizione ed è applicabile in diversi contesti. Sebbene l’ambiente naturale sia stato storicamente quello privilegiato, generando interessanti commistioni con l’Outdoor Education - link https://www.apprendimento-esperienziale.it/events/h3educamp/ , educare in maniera esperienziale è possibile in città, come esprime bene il City Bound link https://www.apprendimento-esperienziale.it/h3-formazione-in-città/ , e anche all’interno di un’aula. È adatto alla sperimentazione di abilità sociali e competenze emotive, ma anche a conoscenze più propriamente didattiche, tramite l’adattamento della logica esperienziale ai contenuti disciplinari.


[1] I sostantivi Erleben e Erfahrung sono composti dalla preposizione Er associata a due diversi verbi. Leben significa vivere, mentre fahre è il verbo che indica movimento. Le preposizioni, unite ad altre parole, hanno la capacità di incidere sul loro significato. L’influenza di una stessa preposizione sulle diverse parole cambia, ma ogni preposizione ha un carattere, si colloca su un movimento, lo definisce. La preposizione Er è relazionale, e più precisamente allude al moto dall’interno dell’individuo verso il fuori, il mondo, l’altro.

 

Kurt Hahn - Getty Images
Kurt Hahn - Getty Images

 

Dal punto di vista dell’educatore, aderire ad una visione pedagogica esperienziale significa favorire contesti di apprendimento che riescano a mantenere tali premesse e ad accettarne l’etica [1]. Si tratta da un lato di favorire contesti in cui siano possibili scambi significativi all’interno di un percorso progettato con cura dalla definizione degli obiettivi fino alla scelta delle attività, nella scelta dell’ambiente fisico e nell’esplorazione degli spazi mentali. Dall’altra parte, occorre mantenere una visione aperta della relazione educativa, rinunciando al narcisismo della relazione docente – discente e alla nicchia sicura del sapere strutturato come oggetto della conoscenza. Aderire all’idea di una pedagogia non direttiva[2] significa concepire se stessi e l’altro nelle capacità di libertà, autodeterminazione e responsabilità di se, dell’altro e dell’ambiente fisico e sociale. La relazione educativa si dispiega all’interno di un ambiente a sua volta concepito come soggettività implicata nella relazione, anch’esso maestro e capace di farsi influenzare, e non come mero contesto delle nostre azioni. Nelle righe che seguono intendo accennare ad alcune formalizzazioni di “apprendimento” ed “esperienza”, per una traccia che non pretende di essere esaustiva.


[1] Tra le innumerevoli accezioni dell’etica, a me piace quella che la colloca nel rapporto tra teoria e prassi, che le permette di sostituirsi ai principi, fissi e assunti a priori, per diventare essa stessa fondamento dell’azione. Parlare di etica in questa accezione, e non di principi, ne di morale, mi facilità nel mantenere aperta la mia visione del mondo.

[2] Propriamente ci si riferirebbe ad una pedagogia libertaria, ma questo termine è storicamente connesso con la pedagogia di matrice anarchica in ambiente europeo e alla pedagogia facente riferimento al libertarismo economico in ambito statunitense.

1.1.Alcune concettualizzazioni di “apprendimento” ed “esperienza”

 

Il concetto di apprendimento viene elaborato inizialmente, nell’ambito delle scienze sociali, dalla psicologia.

Il paradigma comportamentista (fine XIX sec./ inizio XX sec.) ha elaborato i concetti di stimolo, risposta e rinforzo, all’interno di un quadro in cui l’apprendimento è considerato il consolidamento di un comportamento già proprio dell’individuo per mezzo di esperienze in cui tale comportamento è connesso ad un rinforzo positivo. A questo è affiancato l’utilizzo del rinforzo negativo come strumento per l’eliminazione di comportamenti indesiderati. È interessante scoprire che se il rinforzo positivo è efficace per radicare un comportamento, il rinforzo negativo lo è in misura molto minore nell’eliminarlo, fino ad essere totalmente inefficace. I

 

Se le teorie comportamentiste concepiscono l’apprendimento nella zona circoscritta in cui un comportamento casuale si consolida in comportamento appreso, le teorie cognitiviste aprono allo studio dell’apprendimento di comportamenti nuovi, non spontanei. Tolman (1886/1959), figura di transizione tra i due paradigmi, distingue dall’apprendimento intenzionale, che si caratterizza per scaturire dalla motivazione, l’apprendimento latente, per cui nuove forme di comportamento si introducono per imitazione ed osservazione dei comportamenti altrui e dei risultati delle loro azioni. Le teorie cognitiviste mantengono la concezione dell’apprendimento come non solo osservabile, ma anche misurabile e oggettivo, mentre allargano la prospettiva sull’individuo e sul suo sviluppo, considerando processi complessi come il ricordo, la percezione, il linguaggio, il ragionamento. La mente viene vista come una struttura complessa ed elaborata, in cui i diversi tipi di processi si intersecano nella produzione di nuova conoscenza. Dall’apprendimento meccanico si differenzia l’apprendimento significativo, che avviene in virtù dell’associazione di più esperienze: le conoscenze pregresse svolgono un ruolo determinante nell’acquisizione di quelle successive. Sarà Ulrich Neisser (1928/2012), negli anni ’70, tra gli ultimi a collocarsi nella psicologia cognitiva e assai critico verso il paradigma di riferimento, ad introdurre la rilevanza dell’ambiente per l’elaborazione delle informazioni: le informazioni, intese come oggettive, sono nell’ambiente, mentre l’individuo possiede le strutture cognitive che gli consentono di elaborarle.

Il progressivo allontamento dalla presunzione di oggettività del mondo della conoscenza avviene con il costruttivismo. All’apprendimento automatico e all’individuo passivo del comportamentismo, al simbolismo astratto delle rappresentazioni in ottica cognitivista, il costruttivismo sostituisce l'unicità autentica dell’individuo e del suo apprendere. Il sapere si colloca nello spazio della soggettività, dell’irripetibilità, della specificità. Sono le modalità, le esperienze, le forme di pensiero di ciascun individuo che conformano un percorso unico verso la costruzione di un sapere che si caratterizza per essere personale. L’apprendimento viene concepito come processo attivo che si fonda sull’esperienza e si sviluppa tramite essa. Il contesto dell’apprendimento è l’interazione con l’Altro da Sè: le relazioni con gli altri, il contesto socio-culturale (Vigotskji), l’ambiente fisico, naturale o artificiale (Piaget). L’individuo coglie attivamente nell'ambiente gli stimoli a cui può rispondere in maniera significativa per integrarli in strutture cognitive già esistenti e, viceversa, adattare tali strutture ai nuovi elementi. Jean Piaget (1898-1980) identifica questi due movimenti come assimilazione e riordino, processi cognitivi che agiscono verso la tendenza ad un equilibrio dell’individuo mediante il controllo del mondo esterno. Ecco conformarsi, così, un sistema complesso di elementi che definiscono l’apprendimento. L’apprendimento è una caratteristica propria di tutti gli organismi viventi, che ad ogni livello della scala evolutiva cercano di adattarsi all’ambiente in quanto condizione indispensabile alla sopravvivenza. L’apprendimento umano avviene all’interno di un ambiente connotato in termini fisici, sociali, culturali che propriamente lo determina e, in grande parte, ne è determinato: nel processo di apprendimento il soggetto è attivo nella definizione della realtà.

Per John Dewey (1859-1952) l’apprendimento avviene coltivando l’individualita e la libera attività, tramite l’esperienza e la costante riorganizzazione della conoscenza in base all’esperienza stessa. La sua ‘filosofia dell’educazione’ si fonda su una concezione dell’esperienza come rapporto tra uomo e ambiente, dove l’uomo non è spettatore passivo, ma interagisce con ciò che lo circonda. Esistono esperienze capaci di motivare l’individuo a nuove esperienze e compito dell’educatore è favorirle. Il pensiero stesso dell’individuo nasce dall’esperienza sociale e compito dell’educatore è favorire l’intervento riflessivo nella sperimentazione attiva della realtà presente. L’esperienza risulta educativa quando produce arricchimento nello sviluppo dell’individuo, conducendolo verso un miglioramento di se e dell’ambiente. « Education si not preparation for Life. Is Life itself. »

Kurt Lewin (1980-1947) articola il suo lavoro attorno all’integrazione tra teoria e pratica, formulando il Learning Circle. La sua prospettiva sulla conoscenza appare coerente con quella della scienza come creazione di una teoria empirica verificabile. Il ciclo dell’apprendimento inizia e finisce nel momento di un’esperienza concreta : vivere un’esperienza significativa (concrete esperience) determina l’osservazione dei risultati, la riflessione sull’esperienza e la creazione di connessioni (observation and reflection), movimenti del pensiero capaci di modificare l’impianto teorico individuale, integrando nuove concettualizzazioni alle precedenti (abstract concepts), motivando così la messa alla prova delle nuove teorie (sperimentation)e determinando infine nuove esperienze concrete.

Come Dewey, Lewin considera l’educazione nel suo ruolo per la realizzazione di una società democratica, in opposizione ad una visione autoritaria dei rapporti sociali. Entrambi hanno identificato nel piccolo gruppo di interazione lo spazio più appropriato per l’apprendimento di modalità e valori democratici.

Teoria parte due... to be continued


Analisi metodologica sullo strumento del gioco nell’Educazione Esperienziale Outdoor

- Introduzione, Azione e Riflessione –

Ideato da Christian Mancini - Experiential Trainer in Outdoor Education 2016

Premessa al gioco

 

La maggiore parte dei giochi sono usati nell’animazione e invitano al divertimento fine a se stesso. Descritto in altre parole, direi: “Si gioca per giocare!” Dall’altra parte il gioco può evolversi fino ad essere un potente strumento pedagogico e terapeutico (Ludo-Pedagogia & Psicoterapia). In genere il gioco – infantile o adulto, individuale o di gruppo – apre uno spazio di ricerca, sperimentazione e applicazione di strategie comportamentali rivolte al “Problem solving” e alla gestione delle dinamiche relazionali. Le azioni e reazioni, gli atteggiamenti utili sperimentati durante il gioco, possono essere trasformati e applicati anche in nuove situazioni della vita quotidiana. Questo processo nell'educazione esperienziale si chiama “Concettualizzazione e Transfert” ed è un processo fondamentale all’interno del ciclo dell’apprendimento esperienziale. La capacità di visualizzare obiettivi e nuovi stati d’animo è una tecnica frequentemente usata e può essere allenata come ogni altra abilità dell’essere umano. Attraverso un'adeguata pianificazione e preparazione delle attività, possiamo creare cornici, dimensioni tempo/spazio protetti e sicuri d’allenamento esperienziale per facilitare lo sviluppo e l’apprendimento di nuovi comportamenti utili all’individuo e al gruppo. Usando il gioco esperienziale possiamo affrontare gradualmente lo stress emotivo della prova e la frustrazione del fallimento della vita reale, perché in momenti troppo difficili esiste “il freno a mano” che riporta nella consapevolezza del gioco, e fa sì che anche la vita reale sia ridimensionata in una prospettiva diversa e meno drammatica.

Oggi in ambiente educativo-terapeutico si gioca molto, ma ancora dieci anni fa la maggiore parte dei giochi proposti non mirava all’apprendimento di un valore etico-educativo da scoprire attraverso l’esperienza e l’osservazione riflessiva, ma si usava piuttosto per alleggerire le tensioni iniziali, creare una prima relazione di fiducia e improntare un semplice canale d’accesso all’utente. Questa funzione del gioco è ancora usata, naturalmente, in fase Warm-Up e “rompi ghiaccio”, ma il ruolo più sostanziale del gioco è un altro.

Se vogliamo raggiungere specifici obiettivi pedagogici, diventa necessario porsi alcune domande e farsi un piano più strutturato, che segua un filo conduttore pedagogico in gradodi  connettere tutte le azioni e metafore proposte. Non basta essere a conoscenza di un gioco cooperativo per lavorare sulla collaborazione e le dinamiche di gruppo. Ogni percorso dovrebbe sviluppare un valore educativo molto più alto della somma dei singoli giochi e storie proposte. Per questo motivo v’invito a pensare a delle cornici metaforiche: scrivete storie, usate la fantasia o orientatevi alla realtà, per invitare i partecipanti, non solo a mettersi in gioco, ma a coinvolgersi in un viaggio alla scoperta dei comportamenti umani. Ciò che ci interessa è ciò che siamo e come vogliamo diventare.

 Elenco delle domande utili di progettazione per Outdoor Education

 

Esiste un obiettivo primario educativo ben definito che vogliamo raggiungere? Ci sono altri obiettivi, secondari, terziari… ? Qual è l’esperienza del gruppo in merito alla formazione Non-Formale, dove si trova il gruppo e dove posso andare a recuperarlo? Quali limiti e risorse caratterizzano le prestazioni del gruppo? Quali dinamiche sono utili da far emergere e affrontare? Ci sono bisogni individuali nel gruppo? Ci sono particolari dettagli da tenere in considerazione (etnie e religioni differenti)? Ci sono particolari paure o altri atteggiamenti disfunzionali? Ci sono disabilità psico-motorie o altro? A quale livello d’impegno fisico possiamo arrivare (Attività Esperienziali Indoor o Outdoor)? La scelta è dell’educatore esperienziale, che si pone in stretto contatto con il richiedente dell’offerta esperienziale. Ugualmente è utile chiedersi: in quale periodo della giornata (mattina –pomeriggio –sera) iniziamo il percorso e quali azioni sono necessarie per la preparazione mentale, emotiva e fisica? Ci sono alternative alle azioni proposte e servono al meglio possibile per approfondire un concetto? C’è da scoprire qualcosa di nuovo? Dove sono i pericoli e quali sono i rischi all’interno delle attività pensate e del luogo d’azione? Abbiamo scelto bene la qualità e quantità del materiale necessario? Che cosa rimane da fare dopo le attività proposte? Come vogliamo riflettere sulle esperienze fatte? Abbiamo pensato ad un incontro Follow Up a distanza di tempo?

 La scelta degli strumenti

 

Quali obiettivi cerchiamo di raggiungere attraverso un’attività proposta?

A mio avviso questo è il punto più importante da prendere in considerazione – gli sport individuali sono molto utili per lavorare sullo sviluppo e crescita degli individui e tratta in maniera intensa i temi intrapersonali (ogni atleta professionale ha un coach esperienziale),  ma se vogliamo lavorare sulle dinamiche di gruppo, in altre parole sciogliere principalmente nodi, interrompere dinamiche disfunzionali e creare nuove connessioni positive e utili, dobbiamo per forza scegliere attività di stretta collaborazione e comunicazione, dove la sfida è  vissuta nel gruppo intero e dove tutti perdono o tutti vincono. A quale sport e attività pensate se vi chiedessi di immaginare un'ora di sport a scuola? Volley, Calcio, Basket? O pensate ai giochi d’infanzia con la palla? In altri articoli ho già parlato delle Rope school e il teambuilding attraverso programmi esperienziali nelle ore di attività motoria e vi segnalo questo video per chi vuole approfondire. Alcune volte le immagini dicono di più delle parole. (Rope Course). Dopo una prima accurata scelta, cercate di capire cosa rimane da aggiustare nella vostra progettazione (Tempo /Costi /Energie). Possiamo raggiungere il solito obiettivo usando però un mezzo alternativo? Seguite il principio della semplicità e vedrete che in essa spesso possiamo trovare molta fantasia, ricchezza emotiva e saggezza pedagogica con cui lavorare. Nella maggior parte dei casi l’obiettivo pedagogico determina la scelta del mezzo (strumento esperienziale) e non viceversa.  

 

La sicurezza fisica

 

In ogni momento abbiamo il dovere di garantire la massima sicurezza per tutti i partecipanti coinvolti e non possiamo progettare un’attività senza visualizzare anche gli scenari d’emergenza e pensare alle contromisure di primo soccorso in caso di un incidente e infortuni seri. Ci vuole coraggio e volontà per fare seriamente il tentativo di visualizzare uno scenario così negativo. Laddove ci manca l’esperienza pratica, possiamo trovare alternative allo strumento scelto o cercare il confronto con altri educatori ed esperti. Ad esempio, esistono molte attività esperienziali che richiedono lo “spotting” (il mettere in sicurezza) dei compagni per proteggerli da cadute e incidenti durante le azioni . Ci sono diversi schemi tecnici, pubblicati da alcune università -principalmente applicati nell’escursionismo in montagna- come il “Risk Assessment & Safety Management (RASM)" che aiutano molto a valutare il rischio educativo contro il possibile pericolo reale - RISK MANAGEMENT OUTDOORQuest’analisi dei pericoli è dovere e responsabilità di chi offre una proposta esperienziale.  Nel caso di offerte specifiche, ad esempio nell’arrampicata esperienziale – uso delle corde basse e alte, escursioni in barca, trekking sportivo o survival (per nominare solo alcuni esempi di attività esperienziali) rimane il principio di ridondanza, in altre parole il dovere di cercare un personale tecnico e altamente qualificato per mettersi a confronto e usufruire del consiglio attivo. Questo piccolo passo a volte può essere il granello decisivo sulla bilancia tra l’esperienza positiva e quella permanente negativa. 

 

 

La sicurezza mentale

 

Nessuno riesce ad entrare nella testa dell’altro e ci rimane solo la fiducia nella comunicazione, il leggere tra le righe e il tentativo continuo di entrare in empatia con i partecipanti. Una garanzia di sapere tutto ciò che passa per la testa e il cuore dell’altro non si può avere. Dobbiamo tenere conto che ciascun individuo può vivere, all’interno dello tesso gioco, un'esperienza e un'emozione completamente diversa e unica dagli altri compagni. Per questo motivo uno dei principi fondamentali dell’educazione esperienziale è la libera scelta di partecipazione ad una proposta. Certamente ci vuole un po’ di esperienza nel lavoro per non scambiare questo principio con un atteggiamento di indifferenza verso la “non partecipazione” del singolo. Non possiamo dare motivazione ad altri, essa nasce dentro ad ogni individuo stesso e non è travasabile, ma è contagiosa. Se noi insegnanti ed educatori siamo motivati, possiamo incoraggiare e stimolare la volontà di mettersi in gioco ed esporsi all’avventura! Dovremmo imparare a essere facilitatori, appassionarci in questo, e  prenderci la responsabilità di agire in  maniera preparata ad eventuali  esplosioni emotive, conflitti verbali o peggio ancora. Quali competenze abbiamo nella risoluzione dei conflitti? Quali schemi abbiamo imparato e ci stiamo portando dietro?

 

 

La motivazione e il coinvolgimento

 

Una caratteristica potente del gioco è che si orienta fondamentalmente all’azione, e questo significa che non necessita motivazioni sostenute da rinforzi esterni per divertirsi (vantaggi, riconoscimenti, evitare conseguenze spiacevoli – motivazione estrinseca). Tuttavia sappiamo che spesso si fatica a far partecipare le persone ad un gioco. Barriere e limiti legate ad abitudini consolidate, impediscono di scoprire il gioco come possibilità di crescita, come spazio protetto per sperimentare l’errore e il rischio e uscirne con una sensazione positiva.

L’arte dell'educatore esperienziale sta nell’aumento della partecipazione e della manifestazione di comportamenti autentici in campo.

Una buona pratica può essere di anticipare alcune informazioni sul senso approfondito del gioco scelto e spiegare già in fase preparativa l’attività come strumento metaforico per uno specifico tema. Specialmente l’adulto ha bisogno di ulteriori spiegazioni per comprendere perché dovrebbe proprio ora giocare il gioco scelto.

Un ulteriore argomento per invitare al gioco è l’alternativa alla vecchia usanza della formazione frontale. Chiarificando la mia esperienza, la maggiore parte dei partecipanti accetta dopo breve la sfida del gioco.

A questo punto voglio ricordare il principio della libera partecipazione e invitarvi a permettere alle persone di svolgere un ruolo di osservazione. La paura che impedisce di partecipare a una specifica azione impedisce al partecipante “spaventato” ogni possibilità di imparare qualcosa: tanto vale allora canalizzare l’energia della paura su un piano produttivo come l’osservazione degli altri. L’impedimento di un partecipante può essere sempre trasformato in una risorsa. Nessuno è mai inutile o, detto in prospettiva positiva, ognuno ha sempre una missione da svolgere!

Ogni individuo ha avuto una socializzazione diversa e per questo non possiamo essere sicuri della qualità dell’esperienza di ognuno. Possiamo però, attraverso una progettazione professionale (luogo, scelte di giochi, struttura e storia), aumentare la probabilità di offrire “determinate e volute” tipologie di esperienze educative. Passo dopo passo proviamo a creare un vero “crescendo educativo attraverso una serie di onde emotive” nella proposta, senza rischiare mai di uscire dalla zona d’apprendimento ed entrare nella zona di panico.

 

L’introduzione (Fase I)

 

Dal TEDX e altri eventi di alta formazione, ma specialmente nelle piccole perle di saggezza quotidiane sul web, l’importanza dell’introduzione si legge ovunque. “Il buon giorno si  vede dal mattino” e “la partenza fa metà lavoro”, sono solo due simpatici esempi di questa vecchia verità! Una buona storia, coinvolgente e possibilmente autentica, può incrementare l’interesse e la partecipazione perché riesce a svegliare un richiamo di “curiosità” e fame d’avventura. In questo caso l’apprendimento degli obiettivi pedagogici aumenta in maniera significativa. Provate a stimolare la fantasia avvolgendo le regole e la cornice di un gioco in uno scenario metaforico e osservate se notate degli atteggiamenti differenti dalla comunicazione delle regole astratte e senza dimensione di profondità. In ogni caso il l concetto del learning by doing e la trasformazione di un comportamento all’interno di abitudini quotidiane accade, almeno parzialmente e nella maggior parte dei casi, anche senza una riflessione approfondita a termine dell’azione.

 

La fase d’azione (Fase II)

 

Durante il momento delle attività e giochi principali,  il conduttore cerca sempre di rendersi “invisibile” e di tirarsi il più possibile fuori dall’attenzione dei giocatori, pur sapendo che nel momento dove fisicamente entriamo nello stesso ambiente di spazio/tempo diventiamo parte attiva e temporanea del presente gruppo.

In fase d’introduzione e dove maggiormente si gioca per giocare, siete invitati alla partecipazione.  In ogni caso è fondamentale  diminuire la sentita presenza appena parte la fase II esperienziale principale, la pianificazione e l’attività in sé. Anche la vicinanza fisica rispetto al gruppo può incidere sugli atteggiamenti dei partecipanti, quindi è preferibile allontanarsi di alcuni metri. Attenzione però a non interpretare il tirarsi indietro per non condizionare come occasione di disconnessione dal gruppo! Non è un momento di libertà da usare per immergersi nello Smartphone, correggere i compiti o evadere alla ricerca della macchinetta del caffè. Restate attivi nella mente, osservate e godetevi l’apertura di uno spazio immenso di raccolta d’informazioni e impressioni sul vostro gruppo, ma attenzione a non interpretare troppo. Le più comuni osservazioni di base sono la qualità di collaborazione del gruppo e le strategie di comunicazione e pianificazione: chi prende un ruolo attivo, chi rimane passivo? Tutti i membri del gruppo hanno trovato una funzione all’interno del gioco? Naturalmente c’è bisogno di avere esperienze per sapere osservare momenti chiave. C’è bisogno di imparare quali momenti meritano di essere portati alla luce e su quali atteggiamenti possiamo andare oltre per non dare troppo peso negativo su un'azione. Chi non sa cosa osservare avrà fatica di approfondire il discorso. Nel caso di avvenimenti spiacevoli e disfunzionali possiamo interrompere il gruppo e provare a portarlo ad auto riflettere sulla situazione. In casi di emergenza e pericoli in corso, il conduttore ha il dovere di interrompere, in certi casi fino a sospendere le attività. Dopo una pausa di raffreddamento emotivo, invitate ad una fase di riflessione per risolvere i conflitti emersi. In alcuni casi può capitare che il gruppo si rivolga unito contro il conduttore. Queste situazioni sono educative e molto interessanti e aprono gli occhi sulle proprie prestazioni. Se non ci chiudiamo davanti alla critica del gruppo e rimaniamo in ascolto e connessione anche in momenti difficili, possiamo crescere attraverso l’interazione.

 

Riflessione (Fase III)

 

Ma perche bisogna sempre parlare e riflettere?” Questa frase è una delle più sentite, quando facciamo per la prima volta un percorso esperienziale con un gruppo. Spesso bisogna ingegnarsi con molta fantasia per favorire un’atmosfera di condivisione autentica e accendere la discussione. L’obiettivo pedagogico principale dell’educazione esperienziale (indoor & Outdoor) attraverso tutti gli strumenti come il gioco, lo sport, l’arte o la natura, è allenare la sperimentazione, l’osservazione, la concettualizzazione e la trasformazione di nuovi comportamenti utili al cambiamento e l’aumento del benessere individuale.  L'educazione esperienziale vuole essere d'aiuto a vivere una vita positiva e ricca di esperienze autentiche. È fondamentale fare comprendere al gruppo questo concetto al meglio possibile, per evitare di lasciare solo impronte superficiali e d’animazione a “passa tempo”. Naturalmente non voglio togliere il valore delle attività fini a se stesse, anzi ogni esperienza fra arte e natura o tra gioco e sport è importante e di profondo valore, ma senza un fondamento ben preparato e progettato non possiamo parlare di un’attività educativa esperienziale indoor, così come il semplice stare nel bosco non diventerà mai profonda e fondata educazione outdoor.

Da molti anni si trovano pubblicazioni scientifiche, ampie riflessioni e case study’s di metodologie applicate per lavorare sulla riflessione e sicuramente consiglio l’uso di molti di questi strumenti. Vorrei invitarvi, prima di immergervi nella giungla di esperti e pubblicazioni sulla riflessione, ad un esperimento di pensiero: riconosciamo alle attività ludiche un potenziale e valore naturale di auto-educazione, e aggiungiamo il potenziale d’influenzare il benessere che proviene dallo stare in natura e in gruppo. Un tale potenziale agisce di per sé. Credo che molte verità pedagogiche di base come l’empatia, il buon senso e il rispetto per l’altro, non abbiano sempre bisogno di essere riflettute e recuperate a catena: devono essere vissute, attraverso l'esempio e in prima persona, invece che concettualizzate, e spesso il loro delicato processo di trasformazione in effettive abilità avviene nel silenzio e nell'intimo, non attraverso le parole e i discorsi. Dobbiamo bene scegliere su cosa vogliamo puntare la luce e quanta usarne per non creare troppa ombra dietro al focus della nostra attenzione.

  

Problem solving non deve diventare mai un Problem Searching!

 

Certamente l’uso del pensiero cognitivo attraverso le parole nei ccerchi di riflessione  è estremamente utile. La descrizione verbale di un evento, di un'emozione e di un'azione, aiuta una ristrutturazione cognitiva dell’evento e apre cosi una strada sconosciuta e piena di osservazioni nuove e possibilità di crescita.

A fine di un’attività molto intensa di sfida, il gruppo sarà eccitato e lo stato emotivo di molti normalmente è più delicato, fino ad essere fragile e facilmente irritabile.  Creare a tempi brevi un tessuto di recupero e atterraggio emotivo rimane fondamentale per la sicurezza mentale del gruppo. Invitiamo a usare un cerchio e per iniziare anche solo dei metodi di riflessione emotiva. Dopo una fase di riconquista cognitiva, o in altre parole, dopo aver ripreso maggiormente il controllo sulle reazioni delle proprie emozioni, possiamo iniziare a invitare a condividere impressioni ed esperienze. Il tessuto di esperienze formerà una rete d’intrecci, somiglianze e differenze che renderanno il momento un evento di trasformazione personale.

 

Per concludere:

un breve elenco di alcune buone pratiche per il lavoro esperienziale outdoor:

 

·       Siamo responsabili per la scelta dell’attività e decidiamo noi il grado di difficoltà psico-fisico delle azioni .

·   Evitate l’azionismo cieco! Non esagerare nella quantità di attività offerte. Si rischia di banalizzare i contenuti e sovraccaricare i partecipanti. I giochi sono un mezzo, uno strumento pedagogico.

·       Nella progettazione, seguite il principio del minimo investimento per raggiungere il massimo risultato!

·       Spiegate, se  necessario, la scelta delle attività e il vostro obiettivo dietro all’azione proposta.

·       Il principio della libera scelta di partecipazione è fondamentale.

·       Un’introduzione coinvolgente è quasi la metà strada per il raggiungimento dell’obiettivo educativo.

·       Una buona riflessione aiuta il Transfert dei comportamenti utili nella vita quotidiana.

·       Progetti di educazione esperienziale devono essere affiancati da altre forme di educazione non direttiva, dove viene praticato il solito valore del community learning. In assenza di questo, i progetti rischiano di non essere credibili e autentici.

 

Concludo con una frase che uso spesso perché mi ha colpito in passato nella sua  profonda e semplice verità, una sintesi efficace di cosa fa l’educazione esperienziale!

 

„A mind that is stretched by a new experience can never go back to its old dimensions“.

Oliver Wendell Holmes, Jr.

 

Ringrazio di cuore per la lettura e spero di essere riuscito a fornire nuove informazioni e spunti, e di essere riuscito a incuriosire, a solleticare la voglia di saperne di più.  Invito tutt* a scrivermi un feedback. Per info sulla formazione esperienziale outdoor, seminari e workshop in Educazione Esperienziale e Outdoor Education o semplici scambi d’opinioni e idee mail @

 

Christian.mancini@web.de | Experiential Trainer in Outdoor Education & Experiential Training


«Si dice che s’impara per la vita e non per la scuola. Eppure il periodo di scolarizzazione è per molti giovani un tempo distante dalla vita e pieno di restrizioni». Sono le parole di Christian Mancini, esperto di educazione esperienziale che alla seconda edizione di Tutta un’altra scuola terrà un seminario sabato 10 settembre proprio sull’educazione esperienziale outdoor (rivolto soprattutto a insegnanti, educatori e genitori) e che parteciperà alla conferenza pubblica prevista per domenica 11 settembre sull’abbandono scolastico.

Articolo - Pedagogia e Arrampicata

 



Articolo - Educare all'Avventura - Antonio di Pietro Pedagogista

Articolo - Educazione? Disimpariamola - Disimparando