estratto dal libro educazione esperienziale in città

I POTENZIALI DELLE CITTÀ

[...] La società mainstream di oggi richiede innumerevoli competenze trasversali: ostentare sicurezza quando si entra in contatto con realtà sconosciute (possedere una sana autostima); avere la prontezza di agire e interagire quando ci si confronta con situazioni nuove (apertura mentale, versatilità); progettare insieme con altri nuove idee e processi di lavoro (capacità di lavorare in team); ascoltare discutendo e accettando le critiche (capacità di fare autocritica) e argomentare per far valere le proprie opinioni (capacità comunicative). L’educazione esperienziale in città rafforza anche queste competenze, mentre la successiva fase della meta-riflessione rende esplicita la metafora racchiusa dietro ciascuna attività, al fine di sedimentare quanto accaduto e acquisire competenze utili alla vita. In futuro, conditi da una maggiore consapevolezza di sé stessi e degli ambienti sociali frequentati, sarà decisione dei partecipanti accettare o meno i paradigmi meccanicistici e orientati alla produzione e al consumo. Inseriti nel contesto di gioco, avventura e divertimento, le attività qui proposte hanno la potenzialità per sviluppare e nutrire le seguenti abilità:

 

1. Ritrovarsi e collocarsi - L’orientamento

Nell’epoca delle app non è più scontato che una persona sappia muoversi da un luogo all’altro sulla scorta del solo senso dell’orientamento. Quando ci si trova in una città nuova, orientarsi può rappresentare la prima sfida: mezzi pubblici dai tragitti sconosciuti, indicazioni di strade e edifici mai visti prima, la mancanza di punti di riferimento familiari, sono le prime barriere da superare ma, allo stesso tempo, costituiscono la base per innescare un nuovo processo di apprendimento.

2. Il team, una sfida al piacere

Molti esercizi sono svolti in gruppo. Percepirsi all’interno di un gruppo può significare per il partecipante scoprire qualcosa di nuovo di sé. Per comprendere qualcosa di più su come si è fatti, c’è bisogno che qualcuno ci presenti a noi stessi; come a dire che è necessario rispecchiarsi negli altri per scoprire una bellezza a noi sconosciuta. Le riflessioni che seguono alle attività possono far emergere informazioni importanti sul ruolo che ciascuno occupa all’interno del gruppo, sul tipo di comportamenti che attua (vecchi e nuovi), su come gli altri ci vedono e sul tipo di reazioni che suscitano i nostri modi di fare. La capacità di lavorare in team è un’abilità richiesta in molti ambiti della vita e, l’appartenenza a un gruppo, è parte integrante della nostra società, dall’asilo al lavoro. Proprio nel gruppo è possibile imparare a conoscere il proprio ruolo, sperimentarsi nell’elaborazione di strategie di gruppo e di problem solving o nella gestione dei conflitti. Al fine di comprendere come il lavoro svolto insieme possa entrare a far parte dell’esperienza quotidiana di ciascun partecipante, è essenziale dedicare tempo all’elaborazione della metafora, ovvero riflettere sull’esperienza in maniera collegiale. 

3. Chi sono e in quanti siamo?

Ogni incontro offre informazioni sulle reazioni che generiamo negli altri. Questi processi, però, non vengono quasi mai esplicitati e affrontati apertamente. Al contrario, le attività dell’educazione esperienziale in città, consentono di renderci consapevoli dell’influenza e dell’impatto che ciascuno di noi ha sugli altri, permettendo di metterci in discussione ed eventualmente di cambiare. Secondo un concetto della psicosintesi, le subpersonalità sono le “parti“ di noi che si formano in risposta a ricompense, punizioni ed esperienze diverse in momenti diversi della nostra vita. Ciascuna delle nostre subpersonalità ha esigenze e obiettivi diversi. Mentre una potrebbe volere che si resti in casa, si studi duramente e si sviluppi una carriera, un’altra potrebbe voler partecipare al prossimo festival punk. Entrambi sono espressioni valide dei nostri desideri e bisogni. Tendiamo a fare affidamento su alcune subpersonalità più di altre. Possiamo anche tagliare completamente i ponti con alcune subpersonalità. Forse abbiamo una selezione di subpersonalità più oscure, cattive e meschine che si nascondono sotto la maschera di ciò che è socialmente accettabile. Al contrario, potremmo avere un tipo di leader forte, un clown di classe o un genio divergente che non vede mai la luce per paura di essere giudicato, per paura di osare “troppo“. Non sto dicendo che tutte le subpersonalità debbano uscire allo scoperto e vivere la scena. Piuttosto ritengo che ogni subpersonalità ha bisogno di qualcosa, vuole qualcosa e, in ultima analisi, sta cercando di esprimere qualcosa di centrale per noi.

4. Le competenze comunicative

Le competenze retoriche e comunicative sono fondamentali nella vita quotidiana: durante un colloquio di lavoro, nel litigio con un fratello o una sorella, nel confronto a scuola e con gli amici. Molte delle attività proposte nel libro richiedono grandi capacità comunicative: dalla necessità di accordarsi con gli altri partecipanti per trovare la strategia giusta, al dover convincere degli sconosciuti a partecipare ad un progetto che può apparire bizzarro. La gran parte delle attività proposte nel libro richiedono il coinvolgimento attivo di passanti e per indurli a collaborare alle attività i partecipanti dovranno far leva su argomentazioni convincenti. L’educazione esperienziale in città allena la creatività, ma anche le capacità sociali e relazionali.

5. Le competenze di problem solving

L’educazione esperienziale in città mette in scena attività le cui soluzioni non sono predefinite. Sono i partecipanti che stabiliscono quando e come raggiungere un determinato obiettivo e se si è raggiunto il risultato sperato. Il problem solving richiede una gestione creativa di situazioni difficili e per far questo i partecipanti possono sperimentare diverse strategie e verificare in maniera diretta la reazione degli altri ai propri comportamenti. Paradossalmente quando ci si confronta con degli sconosciuti è possibile che ci si esprima con maggiore disinvoltura di quanto accada in compagnia di un amico e questo ci permette di sottoporre a verifica diretta e immediata l’efficacia delle nostre strategie comportamentali.

6. L’autostima

I giocatori possono sperimentare molti ruoli differenti, modelli comportamentali e strategie di problem solving. In questo modo hanno l’opportunità di riconoscere che le competenze che si posseggono e le opportunità per utilizzarle sono molto più varie di ciò che si credeva in precedenza. Sapere di aver raggiunto un obiettivo con le proprie forze, nutre la sicurezza in sé stessi e migliora l’immagine che si ha di sé, mentre il confronto o l’osservazione delle reazioni degli altri partecipanti, rinforza o ridimensiona il proprio modo di agire.

7. La tolleranza alla frustrazione e la resilienza

Spesso la vita ci costringe ad affrontare momenti particolarmente difficili durante i quali dobbiamo dimostrare resistenza e resilienza per raggiungere il nostro obiettivo. L’educazione esperienziale in città consente un approccio giocoso alla gestione della frustrazione e aiuta a riflettere su quanto accaduto. I nostri comportamenti si muovono tra due poli opposti: uno abitato da rabbia, demotivazione e resa; l’altro da motivazione, ottimismo e orgoglio. Specialmente durante le riflessioni di gruppo possiamo indagare sui comportamenti assunti, prenderne consapevolezza e eventualmente, cambiare atteggiamento nei confronti delle situazioni appena vissute.

Esempi delle attività

REQUISITI PER LA CONDUZIONE: Il Mentoring come accompagnamento

[...] La parte più rilevante del nostro lavoro di facilitatori è l’accompagnamento dalla zona di comfort a quella di apprendimento o anche dalla zona di panico, verso una zona di rischio fino ad arrivare nuovamente alla zona di comfort. Spesso i partecipanti hanno difficoltà ad affrontare le sfide e a entrare nelle metafore proposte e appena possibile, tendono a chiudersi nella zona di comfort. Per esperienza ho notato che gli adolescenti cui viene richiesto di svolgere da soli un’attività quando non si sentono osservati, tendono a tornare dai loro compagni, oppure ad entrare e uscire dai negozi senza provare a interagire con i commercianti per superare la sfida. Pertanto senza un’adeguata riflessione, si rischia di banalizzare l’esperienza.

 

Alcune domande chiave poste ai singoli partecipanti possono impedirlo:

 

- Puoi spiegare con precisione che cosa ti rende insicuro in questo momento?

- Che cosa temi possa accadere?

- Quali strategie hai messo in atto fino ad ora per assolvere il compito?

- Di cosa avresti bisogno per portare a termine l’attività?

- O anche, come si potrebbe adattare l’attività ai tuoi bisogni?

 

Le domande hanno come obiettivo quello di far riflettere i partecipanti sulle insicurezze permettendo loro di sentirsi accolti all’interno dello spazio sicuro della condivisione in gruppo. Tra gli aspetti più interessanti di questo lavoro c’è il confronto con i partecipanti, le cui reazioni sono autentiche e imprevedibili. Sebbene le strategie che attua l’educatore esperienziale siano generalmente rivolte al gruppo, il rapporto con i singoli è determinante [...] 

LE ATTITUDINI DEGLI EDUCATORI ESPERIENZIALI

L’educatore esperienziale non può prevedere se la sua proposta avrà successo o meno, e questo è vero soprattutto nelle attività in città, dove molteplici fattori (gruppo, ambiente fisico e sociale) sono fuori dal suo diretto controllo. Pertanto il facilitatore deve avere delle competenze professionali indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi pedagogici del gruppo.

 

Mantenere un atteggiamento riflessivo e aperto

 

Molte attività fanno sentire i partecipanti goffi, stravaganti o inadeguati. Interpretare una statua in una zona di passaggio, svolgere un’attività che attira sguardi e commenti inopportuni, interpretare dei ruoli completamente nuovi all’interno di un gruppo, significa esporsi al giudizio e alla valutazione degli altri e confrontarsi con nuovi punti di vista. Molte delle azioni necessitano forza di volontà e una buona dose di coraggio. Per questo il facilitatore, oltre ad offrire divertimento e avventura, deve monitorare gli stati d’animo e le emozioni che possono emergere all’interno del gruppo. Proprio per questo è importante che si instauri una relazione di fiducia tra facilitatore e partecipanti fondata sulla capacità di riconoscere il valore di ogni azione e di ogni emozione, sia piacevole che spiacevole. Il facilitatore guida i giocatori in un accompagnamento autentico permettendo loro di esprimere le proprie insicurezze e paure. Inoltre facilita la risoluzione delle missioni aiutandoli a prendere sul serio gli obiettivi che sono chiamati a raggiungere. Per proporre le attività è indispensabile che il facilitatore sia credibile e pertanto abbia vissuto l’esperienza dal punto di vista del giocatore.

 

Conoscenza degli spazi, progettazione, preparazione

 

Per questioni di sicurezza, è indispensabile che il facilitatore si muova con dimestichezza all’interno del raggio d’azione che ha previsto per le attività. Per questo motivo è necessario aver esplorato preventivamente la zona interessata: è importante conoscere gli orari e le linee dei mezzi pubblici, avere stampata una mappa dell’area e averla studiata in precedenza. Oltre agli elementi relativi alla sicurezza, il successo di un’attività dipende dalla qualità della preparazione fatta ex-ante. Anche il più intenso lavoro motivazionale può portare a scarsi risultati, se i partecipanti sono costretti ad interrompere le attività per una progettazione sbagliata. La città è soggetta a continue trasformazioni: cambiamenti dei percorsi degli autobus, degli orari dei locali e dei musei, ecc. quindi, per evitare imprevisti, è bene effettuare un sopralluogo poco prima di presentare la proposta. Pertanto, la conoscenza dello spazio d’azione, non è meno importante della preparazione dei materiali e delle attività.

 

Attitudine ludica, motivazione e conoscenza del gruppo.

 

L’educazione esperienziale in città si colloca nell'ambito della pedagogia non direttiva e il suo presupposto fondante è la libera scelta. Questo comporta un’importante sfida pedagogica: da una parte si dovrebbero proporre attività sfidanti, pensate in funzione degli obiettivi pedagogici che ci siamo posti, dall’altra i partecipanti sono liberi di sottrarsi all’attività in qualsiasi momento. Questo può manifestarsi con un rifiuto esplicito a giocare: i partecipanti non fanno alcunché o, semplicemente, fanno altro mentre il gruppo si occupa di trovare la soluzione, o ancora decidono di modificare la sfida, abbassando il grado di difficoltà. Per evitare che si verifichino queste circostanze poiché il facilitatore ha poche possibilità di controllare le attività mentre sono in corso, è importante che preliminarmente si dedichi ad un lavoro motivazionale di successo, attraverso l’esercizio di una buona attitudine ludica. Questo significa avere la capacità di resistere ai primi rumorosi tentativi dei presenti di ostacolare o correggere la proposta ludica, di far ricorso a tutte le risorse naturali che si possiedono, di sostenere con allegria il coinvolgimento dei giocatori al fine di motivarli a partecipare. Il facilitatore deve avere chiaro che la proposta, per quanto scomoda e faticosa da giocare, porta al benessere generale di tutti. Infatti si tratta di un proposta intenzionata idealmente, nel senso che non è neutra e vuole portare un miglioramento nelle vite dei partecipanti. Pertanto vanno esplicitati il senso e gli obiettivi delle attività. Nel caso di adolescenti le consegne vanno presentate in maniera accattivante e seducente, per esempio attirando la loro attenzione e partendo da qualcosa che gliele rende familiari, perché apparentemente ancorate alla zona di comfort. Nello stesso tempo, il facilitatore deve fare ricorso alla propria sensibilità per scegliere i compiti senza sovraccaricare né sottostimare le capacità del gruppo. L’attenzione del facilitatore deve soffermarsi su ciò che accade nell’altro e non soltanto sulle sue capacità di svolgere l’attività. Il grado di efficacia dell’intervento lo danno innanzitutto le risposte e lo sguardo dei giocatori sul facilitatore. È importante, infatti, che il facilitatore conosca il gruppo in prima persona oppure tramite terzi. Sebbene questo possa rovinare l’effetto sorpresa si può addirittura scegliere di rielaborare le attività con la collaborazione degli stessi partecipanti, per esempio per decidere il grado di difficoltà che si vuole sperimentare, in base alla capacità del gruppo di mettersi in gioco. In tutti i casi, la premessa fondamentale è quella della libera scelta e dell’accordo. “Avete chiaro di cosa stiamo parlando?”, “Siete sicuri di voler fare quello che abbiamo concordato?” Sono domande che favoriscono la predisposizione a mettersi in gioco e che aumentano la probabilità di far vivere un’esperienza di successo. [...]